TRIAL : UNO SPORT PER GENTLEMEN?
Se a quei tempi ci fosse stato Wikipedia, la parola gentlemen avrebbe trovato spazio nella definizione della specialità. Già i “vecchi” rompono sempre parlando dei loro tempi , tempi che tanto non ci sono più!
L’ho potuto constatare una volta di più partecipando alla ventisettesima edizione della Due Giorni di Brianza, lo scorso week-end. Ne ho viste di cotte e di crude, come si suol dire!
Potrei iniziare dal ragazzo di Loano, che si appropria di una vittoria che non gli spetta, per un disguido tecnico e che fa finta di nulla e si fa fotografare sullo scalino più alto del podio.
Oppure da quel premuroso papà che spingendo la moto al figlioletto mi passava davanti in coda alla zona (le ultime tre zone della gara, coincidevano con quelle del percorso del minitrial).
O, ancora da quell’arrogante giudice che mi rispondeva maleducatamente alla mia richiesta di conoscere il motivo del cinque affibbiatomi.
Credetemi, prima di scrivere queste riflessioni, mi sono lasciato tentare anch’io dal pensiero più comodo, più in linea coi tempi: fregarmene! Ma forse mi sta troppo a cuore il destino di questo sport, per alzare le spallucce e limitare i miei commenti alle persone della mia generazione, che condividono in pieno la mia linea.
Eccomi allora a denunciare pubblicamente il comportamento deplorevole di tale Federico Rembado, che figurava secondo nel tabellone elettronico esposto per tutta la durata della gara e per diverso tempo a gara finita. Ma che poi per un errore umano (la sua giornata di domenica non gli veniva conteggiata nella somma dei due giorni) e, venendo acclamato come vincitore con 0 penalità in tutta la gara, non denunciava l’errore, pensando di farla franca. L’importante è vincere, così diceva il trialista Pierre de Coubertin, vero?
Ringrazio poi quel padre che molto educatamente all’arrivo del figlioletto, che aveva visionato la zona, consegnandogli la moto, gli diceva che noi eravamo prima di lui. Ma caro papà di un possibile campione, se pensi di agevolare tuo figlio con quel tuo gesto, ti sbagli di grosso. Non entro nel merito di un discorso più ampio riguardo il modo di educare i figli, mi limito solo ad assicurati che i miti del nostro sport, i vari Bou, Raga, Fujinami, tanto per intenderci, non avevano genitori che gli spingevano la moto nelle code alle zone.
Ora tocca al giudice. Visto che non ne conosco il nome e visti i miei precedenti slanci di affetto che ho sempre avuto storicamente con i coniugi Zanini, voglio subito dire che non si tratta di loro. Da loro ho ricevuto, dal mio punto di vista, eccessive ed assurde punizioni, ma alla mia richiesta di chiarimenti, ci sono sempre state civili discussioni. I toni strafottenti che invece lo “sceriffo” della zona 7 del secondo giorno, ultima parte, ha usato rivolgendosi a me ed ad un altro pilota , rei di aver osato chiedere lumi sul giudizio dato, quelli proprio non li sopporto!
Anche in un’altra zona un giudice intimava a tutti di star fuori con una delicatezza da elefante! Ma ai corsi a cui ho partecipato per avere il patentino da giudice, non mi sembra preparassero dei “soldati” pronti ad entrare in trincea!
Un’ultima considerazione sul regolamento no-stop. Risparmiamo i cronometri, velocizziano lo spettacolo, tracciamo zone più larghe, con ostacoli meno pericolosi, bene. Ma se i giudici lo applicano alla lettera ( e qui dipende dall’umore, visto che lo stesso giudice in Valtellina era di manica larga , in Brianza no), chi ne fa le spese sono proprio le classi più basse, la linfa del nostro sport. Il pilota bravo conosce i trucchi, comprime la forcella, “sgassa”, tutto questo stando fermo e dando l’impressione del movimento. Il poveraccio invece che appoggia un piede a terra e sposta solo il davanti si cucca inevitabilmente il cinque.
Se tra i giudici non c’è volontà di comprendere, ben vengano dunque i cronometri e non parliamo più di regolamento no-stop!